lunedì 25 maggio 2020

STEP #19

CODE DE LA NATURE



Etienne-Gabriel Morelly, nato nel 1717 (la data della morte resta incerta), fu un importante filosofo e scrittore politico francese del XVIII secolo. 
Nel 'Codice della natura' pubblicata a Liegi nel 1755, fu originariamente ritenuta opera di Diderot che non ne negò mai l'attribuzione. 
Morelly ripercorre il tema della società giusta e comunisticamente strutturata: egli muove dal presupposto che le leggi di natura sono buone perché sono al contempo leggi di Dio e della ragione e, in virtù di tale presupposto, si propone di costruire un nuovo sistema sociale che impedisca all’uomo di diventare malvagio quale invece è – secondo un tema che viene codificato nel modo più efficace, oltre che più noto, dalla riflessione di Rousseau – nella società esistente, in cui a dominare è
l’egoismo, frutto dell’esistenza della proprietà privata.


Nella nuova società – argomenta Morelly – deve essere abolita la proprietà privata, poiché essa è la scaturigine dell’egoismo e dell’avidità, i due principali mali che dilaniano la società esistente. Da questi due mali derivano tutti gli altri.
Riattivando un'utopia vecchia quanto la Repubblica di Platone (e già a sua volta riattivata, per altro, da un Tommaso Moro con Utopia o con un timbro più marcatamente teocratico, da Tommaso Campanella con La città del sole), Morelly sostiene che nella “società giusta” nessuno dovrà possedere se non gli oggetti di uso immediato, il mantenimento dei cittadini sarà a carico della Società. Infine, lo stato dovrà prendersi cura dei fanciulli indirizzandoli presto a un lavoro manuale: un aspetto interessante dell’utopia morellyana, che ne mette bene in luce il retroterra illuministico, è la sua avversione alla metafisica, intesa come un retaggio della superstizione del passato. Morelly si spinge a sostenere che nella società comunista i fanciulli devono essere indirizzati al lavoro manuale e tenuti a debita distanza della sirene ammalianti della metafisica. Pensatore vigoroso e originale, Morelly, per il suo pensare la società comunistica nei termini di un’utopia da realizzare o di un ideale a cui dare cittadinanza nelle pieghe del reale, può essere con diritto inteso uno degli iniziatori di quel “socialismo utopistico” tratteggiato nelle pagine del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels.
Se anche il suo progetto resta utopico e irrealizzabile, la sua denuncia delle ingiustizie della società reale, sospesa tra egoismo e avidità, resta di una potenza (e di un’attualità) straordinaria



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