CODE DE LA NATURE
Etienne-Gabriel Morelly, nato nel 1717 (la data della morte
resta incerta), fu un importante filosofo e scrittore politico francese del
XVIII secolo.
Nel 'Codice della natura' pubblicata a Liegi nel 1755, fu originariamente ritenuta opera di Diderot che non
ne negò mai l'attribuzione.
Morelly ripercorre il tema della società giusta e
comunisticamente strutturata: egli muove dal presupposto che le leggi di natura
sono buone perché sono al contempo leggi di Dio e della ragione e, in virtù di tale presupposto,
si propone di costruire un nuovo sistema sociale che impedisca all’uomo di
diventare malvagio quale invece è – secondo un tema che viene codificato nel
modo più efficace, oltre che più noto, dalla riflessione di Rousseau – nella
società esistente, in cui a dominare è
Nella nuova società – argomenta Morelly – deve essere
abolita la proprietà privata, poiché essa è la scaturigine dell’egoismo e
dell’avidità, i due principali mali che dilaniano la società esistente. Da questi due mali derivano tutti gli altri.
Riattivando un'utopia vecchia quanto la Repubblica di
Platone (e già a sua volta riattivata, per altro, da un Tommaso Moro con Utopia
o con un timbro più marcatamente teocratico, da Tommaso Campanella con La
città del sole), Morelly sostiene che nella “società giusta” nessuno dovrà
possedere se non gli oggetti di uso immediato, il mantenimento dei cittadini
sarà a carico della Società. Infine, lo stato dovrà prendersi cura dei fanciulli indirizzandoli
presto a un lavoro manuale: un aspetto interessante dell’utopia morellyana, che
ne mette bene in luce il retroterra illuministico, è la sua avversione alla
metafisica, intesa come un retaggio della superstizione del passato. Morelly si spinge a sostenere che
nella società comunista i fanciulli devono essere indirizzati al lavoro manuale
e tenuti a debita distanza della sirene ammalianti della metafisica. Pensatore
vigoroso e originale, Morelly, per il suo pensare la società comunistica nei
termini di un’utopia da realizzare o di un ideale a cui dare
cittadinanza nelle pieghe del reale, può essere con diritto inteso uno degli
iniziatori di quel “socialismo utopistico” tratteggiato nelle pagine del Manifesto
del partito comunista di Marx ed Engels.
Se anche il suo progetto resta utopico e irrealizzabile, la
sua denuncia delle ingiustizie della società reale, sospesa tra egoismo e
avidità, resta di una potenza (e di un’attualità) straordinaria
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